Il Kosovo: escalation oppure ritorno alla normalità?

Albin Kurti, primo ministro kosovaro, e Alexander Vučić, presidente serbo, dovevano incontrarsi a Bruxelles. Alla fine Vucic ha incontrato i rappresentati europei separatamente, senza incontrare Kurti.

Di cosa si parlerà?

In questi ultimi mesi le tensioni sono riaffiorate fra il Kosovo e la Serbia. Riguardano il Nord del Kosovo, prevalentemente abitato dalla minoranza serba, e dalla rappresentanza politica dei serbi in Kosovo.
L'Unione europea e gli Stati Uniti avevano giá cercato di far prevalere il dialogo tra le due parti, con vari incontri ed un accordo finito a Febbraio 2023. Purtroppo le tensioni sono fuoriuscite di nuovo in seguito ad episodi concreti.

Proposta serba

La Serbia non vuole il riconoscimento reciproco e  l'ingresso del Kosovo nell'ONU.
La Serbia ha insistito affinché il Kosovo crei un'associazione di municipalità a maggioranza serba (SMA), cosa che sia Bruxelles che Washington sostengono.Tuttavia, Pristina si è dimostrata riluttante a consentire una struttura sostenuta da Belgrado con poteri esecutivi, temendo la creazione di un'enclave separata che minerebbe la sua sovranità e violerebbe la sua costituzione.

Proposta kosovara

Il Kosovo, da parte sua, non vuole che la Serbia riesca a dividere il Paese e a creare un'entità separata (con l'aiuto della comunità internazionale) come già successo in Republika Srpska. Per questo, Albin Kurti, pur rispettando la minoranza serba e rivolgendosi a loro direttamente in serbo (promettendo di garantire i loro diritti), ha ribadito la ferma intenzione di non voler arrivare alla situazione attuale in Bosnia ed Erzegovina.

Reazione internazionale

L'Unione Europea e gli Stati Uniti hanno reagito in modo del tutto inaspettato all'inasprimento dei toni. Invece di cercare di calmare la situazione riconoscendo le responsabilità di entrambe le parti, hanno preferito sostenere la Serbia (anche considerando il peso del Paese per quanto riguarda il processo di allargamento). Così facendo però, sostengono un autocrate (Vučić), amico di Putin, con un governo che non rispetta lo stato di diritto e tantomeno la libertá di stampa. Scelta azzardata? Dare la colpa solo al Kosovo e minacciarlo di sanzioni, é la strategia migliore?

Conclusione:

Non è una situazione semplice né tantomeno normale, quella fra Kosovo e Serbia. E non si può semplificare in qualche riga - bisogna conoscere la storia di questi due Paesi, prima di poter giudicare o arrivare a qualche conclusione.

Un fatto però è certo: la strategia dell'Unione europea cade a vuoto. Tenere vicina la Serbia ed abbandonare il Kosovo (unico paese dei Balcani con un primo ministro veramente democratico ed aperto ai diritti) è un grave errore. E speriamo di capirlo presto, e non troppo tardi. Non ripetiamo i nostri errori degli anni '90.

La Bosnia-Erzegovina: che la secessione abbia inizio?

In questi giorni si stanno risvegliando le tensioni anche in Bosnia-Erzegovina (anche se in realtà non sono mai svanite).

Che cosa sta succedendo

Il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, ha ufficialmente compiuto il primo passo legale verso la secessione dallo stato. I deputati dell’Assemblea popolare della Republika Srpska (NSRS) hanno approvato con procedura d’urgenza una proposta di legge sulla non applicazione delle decisioni della Corte costituzionale della Bosnia Erzegovina (USBiH) sul territorio della Republika Srpska.  Il presidente della RS ha poi sottolineato che l’approvazione della legge sulla Corte costituzionale costituirà la base per altre misure che la RS intende adottare verso una sempre maggiore indipendenza.
 

Le reazioni: l'alto rappresentante

Il supervisore internazionale della pace in Bosnia, Christian Schmidt, ha annullato sabato due leggi che il parlamento serbo-bosniaco aveva adottato sfidando la costituzione e i termini dell'accordo di pace.

"Le recenti decisioni dell'Assemblea nazionale della Repubblica Srpska violano direttamente l'ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina e l'accordo di pace di Dayton", ha dichiarato Schmidt.

 

 

Le reazioni: Stati Uniti/Unione europea

L'ambasciata statunitense ha accolto con favore le decisioni di Schmidt, convenendo che egli sta difendendo l'accordo di pace di Dayton e la costituzione che sostiene lo stato di diritto in Bosnia.

"Gli Stati Uniti sostengono la sovranità, l'integrità territoriale e il carattere multietnico della Bosnia-Erzegovina e continueranno a ritenere gli individui impegnati in comportamenti anti-Dayton responsabili delle loro azioni", ha twittato l'ambasciata.

L'Unione europea ha comunicato questo, invece. Le leggi adottate dall'Assemblea nazionale della RS sono un attacco diretto all'integrità della Corte costituzionale della BiH e alla Costituzione della BiH. L'UE si rammarica che sia stato inevitabile per l'Alto Rappresentante intervenire per farle decadere.

L'UE ricorda che i poteri di Bonn sono una misura di ultima istanza contro atti illegali irreparabili.

L'UE esorta vivamente le autorità della RS a cessare le azioni unilaterali e a lavorare in modo costruttivo affinché la Bosnia-Erzegovina possa realizzare le riforme a beneficio di tutti i cittadini, cogliendo l'opportunità offerta dallo status di candidato.

Insomma, in questa situazione, la comunicazione dell'Unione europea è abbastanza spenta. Sembra non voler riconoscere che la decisione di Schmidt fosse l'unica possibilità per fermare Dodik.

 

Possibili conseguenze

Difficile in uno scenario del genere poter dire quale sarebbe la soluzione migliore. Fatto sta che si rischia di avere conseguenze molto forti per il Paese. Schmidt non ha infatti il potere di implementare le sue decisioni, e di conseguenza c'é il rischio che non vengano implementate. 

Una cosa peró é certa: l'Unione europea, gli Stati Uniti, devono essere molto sicuri delle scelte politiche che prenderanno nelle prossime settimane, e rendersi conto che non riguardano loro, ma i cittadini bosniaci. E che saranno i cittadini bosniaci a patire le conseguenze, se non fermeremo il nazionalismo sfrenato di Dodik per meri interessi personali (come succede al momento con la Serbia). Gli autocrati come Vucic e Dodik non si fermano, neanche se ricevono soldi.

Il futuro della politica estera europea

La politica estera europea rischia di non avere un futuro se continua sulla stessa strada. C'è la necessità di un rinnovamento.

Introduzione

Le prossime elezioni europee sono una grande sfida per noi: per aumentare il nostro peso politico in Renew Europe, innanzitutto, ma anche per poter far vedere che la nostra visione è davvero europeista.

Per questo, abbiamo bisogno di qualche tema serio e strategico su cui puntare a livello europeo: ce ne sono tanti a cui potremmo dare attenzione ma penso che sia fondamentale rivolgere lo sguardo oltre al nostro campanile, e quindi alla politica estera europea. Come ben sappiamo, la politica estera è di competenza assoluta degli stati membri. Il problema però si pone quando l’Unione europea si trova di fronte a tensioni e conflitti in cui non può rimanere neutrale. Vediamo che in tanti casi si trova in assoluta incapacità di agire. Ma bisogna essere chiari: l’Ucraina è solo uno dei Paesi che si trova in difficoltà e ha bisogno di supporto.

I Balcani. Perché?

che si trova in difficoltà e ha bisogno di supporto.

I Balcani, i nostri vicini più prossimi, sono a rischio. Il Kosovo e la Serbia hanno tensioni che stanno decisamente esplodendo; la Bosnia ed Erzegovina rischia di spaccarsi in due; in Macedonia del Nord c’è il grande dibattito della riforma costituzionale per includere la minoranza bulgara come gruppo etnico ufficiale (cosa imposta dalla Bulgaria per entrare nell’UE, ingiusto visto che la Macedonia del Nord ha anche cambiato il proprio nome); il Montenegro è sotto l’Influenza russa. La Serbia ha grandi proteste per come ha gestito la morte di un giovane. Il Kosovo rischia di non poter continuare a trasformarsi democraticamente, a causa delle sanzioni imposte dall’Unione Europea.

Insomma, c’é bisogno di una vera svolta, di una vera politica europea, di una coesione. Innanzitutto anche della votazione a maggioranza qualificata e non più all’unanimità, per impedire a singoli stati di utilizzare tensioni bilaterali per bloccarne altri pronti per fare progressi riguardo alla politica di allargamento.

Le tensioni

Per quanto riguarda le tensioni presenti nei Balcani, abbiamo bisogno di un approccio diverso. E come Italia Viva abbiamo la possibilità di spingere per un approccio pragmatico e realista, a differenza di quello che c’è ora.

Il Kosovo, pur essendo lo stato più democratico, viene sanzionato dall’Unione europea per cose che ha fatto al Serbia (alimentare violenze, infrangere la sovranità territoriale), mentre quest’ultima viene rafforzata. La Bosnia-Erzegovina sta rischiando di essere spaccata in due per la follia di un nazionalista serbo, Dodik, che ha messo in discussione la legittimità della corte costituzionale dello stato bosniaco. L’Unione europea è ancora esitante a rispondere.

Non ci rendiamo conto che l’Ucraina non è l’unica ambizione di Putin: i Balcani sono sotto influenza russa da anni, e rischiamo seriamente di perderli, e di conseguenza fare del male a noi stessi.

Conclusione

Una domanda si pone: vogliamo continuare in questo modo, o vogliamo proporre un approccio innovativo, che aiuti noi ma soprattutto i paesi dei Balcani a rafforzare la politica di allargamento? Questa è la domanda a cui dobbiamo rispondere e questa é la sfida che ci aspetta nei prossimi anni.

Per ora, quello che possiamo fare è cambiare comunicazione. Cercare di rispondere alle paure e alle domande dei cittadini per quanto riguarda l’allargamento e allargare gli orizzonti. Provare a cambiare prospettiva, e far capire che i paesi dei Balcani sono un’opportunità per l’Unione europea. Sono ricchi di cultura, storia e hanno un altro modo di vedere le cose.

Il futuro dell’Unione europea passa anche per il Montenegro, la Macedonia del Nord, la Bosnia ed Erzegovina, il Kosovo e la Serbia, e l’Albania. (senza Vucic). Sono i nostri vicini di casa. Li abbiamo lasciati soli già una volta, ora è tempo di aiutarli.

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